All’improvviso, Venezia

Franca Di Muzio
9 min readDec 11, 2017

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Profilo artistico

Delle due, l’una: o il fotografo era di quelli reputati bravi, che aveva voluto — in buona fede — creare un’inquadratura originale, che mettesse in evidenza i profili del campanile di San Marco e quello di papà, catturandoli dal basso in posa ieratica, svettanti verso il cielo; oppure era di quelli davvero cani, che in malafede aveva voluto lusingare il suo cliente con la promessa di una foto “artistica”, restituendogli poi un umoristico obbrobrio.

Ma papà di malizia negli altri ne vedeva poca, e ogni volta che quella foto gli ricapitava sottomano propendeva per la prima versione: “A ogni faccia, il suo naso”, sentenziava, strofinando affettuosamente il suo. Una foto che a me faceva sempre sorridere, dandomi l’occasione di meravigliarmi ancora per quel suo naso così lungo e appuntito, reso per giunta lievemente tortuoso da un incidente di gioventù; un naso impossibile da ignorare, che io (grazie a Dio!) non avevo ereditato.

Mamma invece la prendeva in mano per pochi secondi, sorvolando su quel naso che a lei non era mai piaciuto — ci era per così dire “passata sopra”, a fronte delle tante buone qualità di suo marito.

Eppure, nei suoi verdi anni veneziani immortalati sullo sfondo di San Marco, quel suo naso doveva essere andato alquanto a genio a qualche ragazza, se cinquant’anni dopo, in un caldo pomeriggio d’estate, in casa nostra squilla il telefono.

“Pronto?”

Fruscii, ronzii, e un lontano “Buonasera…”

“Buonasera”.

“Casa Di Muzio?”, timida voce di donna, dall’accento inconfondibilmente veneto.

“Sì?” Avranno sbagliato numero…

“Vorrei parlare con Dionino!”, Ah. Beh. Allora è proprio papà che cercano.

“S-sì, certo… un attimo! Chi lo cerca?”, già muoio di curiosità. Una donna!? Veneta!? Che mi chiede di papà! E chi è questa?

“Noemi, da Venezia!”, replica la voce con tono più saldo, quasi fiero. Tocca arrendersi.

Noe-chi??

“N-N-Noemi, ha detto? V-va bene, un attimo che glie lo passo… PAPÀÀÀÀÀÀÀÀ!”, urlo come se vivessimo in una villa di mille metri quadri, e lui si trovasse nell’ala opposta e ci fosse bisogno di andarlo — o piuttosto, mandarlo — a chiamare, magari da una domestica: una servetta veneta, che risponda alla richiesta con il Comandi!? d’ordinanza.

Lo trovi fuori, sul balcone della cucina, in una fresca, casalinga, sbrindellata, francamente oscena canotta rigata bianca, modello contadino in relax: scollata e smanicata al punto da non lasciare alcun mistero sui peli lunghissimi, sottili e castani delle ascelle e il vello ricciuto e brizzolato del petto e della schiena; cintura di dotazione carceraria ultraconsunta a sorreggere dei pantaloni marroni in terital, morbide ciabatte estive incrociate marroni con impunture bianche, comprate al mercato, da cui spuntano fette numero 43, piazzate a papera ai lati di una seggioletta scassata, su cui è intento ad infilzare con ago e spago le capocce di polposi peperoni estivi da far seccare al sole — così che il nostro balcone al secondo piano, anche quest’anno sarà l’unico di tutto il quartiere decorato da festoni di peperoni color porpora, visibili a grande distanza… festosi, contadineschi festoni di peperoni secchi, ad adornare i muri esterni della cucina. Che vergogna. Che orgoglio.

A tutto relax, in canotta & peperoni

“C’è una certa Noemi da Venezia al telefono per te!”, gli trillo, compiaciuta.

Mamma finge indifferenza — o forse no, forse è davvero indifferente a chi cerca al telefono suo marito. La guardo meglio in viso: una sfinge; non sei gelosa, mamma? Io sì, da morire.

“Noe….chi…??”, chiede lui.

“NOEMI, da VENEZIA! Vai pà, che ti sta aspettando!”

“Ahhhh… Noe-ma!”, si illumina lui, le ciabatte in moto accelerato verso il telefono. Acchiappa la cornetta e squilla un “Pronto!” da far tremare i muri, seguito da emozionate esclamazioni di sorpresa che io, per discrezione, all’inizio scelgo di non ascoltare, allontanandomi verso la cucina. Poi il silenzio, anticipato dal tonfo della porta della cameretta. Sbam!

Non ci posso credere: papà — il mio papà! — che si chiude in camera mia, a parlare — sottovoce! con una donna!… Proprio come faccio io quando qualcuno mi chiama, e non voglio che i miei mi sentano.

Ah pa’, ma se tu pensi di fregare a me… al diavolo la discrezione: corro in bagno, che confina con la cameretta e, orecchio al muro modello pellerossa, cerco di captare spezzoni di conversazione. Mannaggiallamiseria, non si capisce niente di quello che dice!

Non si capisce, ma sento che ride, papà, con tanti esclamativi nella voce. Porcamiseria, e mo’ chi è questa Noemi-Noema??

Lui intanto ride, ride ancora. Di più: sorride, glielo sento nella voce! Spensierata, leggera, come con me e mamma quando è di luna buona — abbastanza spesso, questo bisogna riconoscerglielo, ha un ottimo carattere… ma questa sua familiarità con una sconosciuta mi infastidisce, umpf.

Dopo un secolo, riappende. Schizzo fuori dal bagno, gli sono addosso. Già lo vedo diverso, mio padre: da tranquillo, familiare, gioviale pensionato in canottiera, peli, pantaloni, cintura, fette, ciabatte e peperoni, all’improvviso è diventato… un Uomo, un uomo misterioso, dalle conoscenze femminili a noi ignote. Un uomo che un’altra donna, una foresta dall’accento veneto ha cercato al telefono!

“Allora, si può sapere chi è questa Noemi, eh???”

Noe-ma”, replica lui con gli occhi che ridono, la bocca da un orecchio all’altro, il volto congestionato dalla sorpresa e dal piacere.

“Una tua ex, vero?”

“Ehhh…”, povero papà, non gli sto dando scampo.

“Eddai pà, su! Racconta!”

Nel frattempo mamma è riemersa dalla cucina, strofinaccio in mano; ci starebbe bene un mattarello, invece.

Papà ancora sorride, gli sfugge un sospiro. Sospira!, lui così pratico e prosaico… in apparenza.

“Eddai pà, su, dicci! Com’è che questa si ricorda di te proprio adesso? Mamma, ma ti rendi conto??? Da Venezia!”

Mamma sorride un po’ storto e non risponde. Torniamo a fissarlo tutt’e due, e lui finalmente si sbottona.

“Eravamo fidanzati quando stavo di servizio su… a Venezia, al carcere minorile, alla Giudecca.”

“Eh grazie, questo l’avevo capito!

Ma poi? Poi, cos’è successo? Com’è che non sei rimasto su, com’è che vi siete lasciati?

Insomma ‘sta Noemi, che faceva, com’era??”

Terzo grado su pene d’amore passate, preistoriche. Papà — tranquillo-allegro-ciabatte-canottiera-peperoni — papà: un Uomo, che ha avuto e causato pene d’amore! Ah, questa proprio non me la voglio perdere.

“Com’era… carina, simpatica, una brava ragazza… abitava a Sottomarina, in provincia di Venezia, e dopo qualche mese che ci vedevamo (Mesi, addirittura! Quanti? Fatti i fatti tuoi, Franca!) aveva chiesto informazioni su di me e sulla nostra famiglia tramite il suo parroco, che aveva scritto al nostro della Madonna della Vittoria…

La statua restaurata della Madonna della Vittoria, a Chieti

Nel mio cervello si proietta all’istante un film in bianco e nero, le immagini sgranate: un curato di campagna veneta che, a lume di candela, una sera scrive a un suo simile della campagna teatina. Le famiglie in attesa di notizie e conferme, le speranze, i progetti… e poi, però…?

“…però, una volta ero tornato in licenza qui a Chieti, avevo visto la mamma, e insomma… Va’ pensiero!, prosegue lui, gli occhi sognanti, mentre mamma incassa la sua vittoria in silenzio.

“Eh. E quindi??”, lo incalzo, verso una prevedibile conclusione.

“Ehhh… le ho detto: Noè, così non può andare: io voglio tornare in Abruzzo, tu vuoi restare qui… Finiamola qua”.

Oh cavolo. Crudele, papà. Crudele, ma gentile. Forte e gentile, un vero abruzzese. Crudele ma necessario; inutile infiorettare, addolcire: meglio una fine con dolore che un dolore senza fine, il medico pietoso… Glielo leggo in faccia, glielo sento nella voce com’è andata: lui determinato, lei sconsolata, e mi pare di vederli, lungo un canale veneziano nei tardi anni Cinquanta, con lei che piange e lui che le tiene la mano con affetto, il che la fa piangere ancora di più; perché Dionino è così bravo, simpatico, ammodo, un bel giovane… non fa niente che è un foresto, anzi!, a Noemi piace appunto per questo: con l’abbronzatura campagnola che non sbiadisce a dispetto delle rasature e delle colonie, la chioma scura e ondulata esaltata dalla brillantina Linetti, così diverso da quegli slavati scontati giovani che la corteggiano a Sottomarina; e poi porta la divisa, ha un lavoro sicuro, un accento terragno ma esotico che la affascina, che l’ha fatta rispondere con un sorriso al primo approccio in Piazza San Marco, quando lei e le sue amiche passeggiavano senz’altro intento che quello di viversi i loro vent’anni in una sfolgorante domenica di giugno, affollata di piccioni, turisti e militari in libera uscita, foresti sfrontati ma compìti allo stesso tempo: abruzzesi.

Amici per la pelle, a spasso per San Marco

E neanche sapeva bene, Noe-ma, dove fosse l’Abruzzo, ma già sognava viaggi in treno da fidanzati, a conoscere i suoceri… e lo sposalizio in chiesa, magari seguito da due ricevimenti, uno per i parenti di su e uno per gli altri di giù; invece niente, nulla di tutto questo accadrà: dalle domeniche dalle passeggiate dai baci dai cocomeri affettati e mangiati all’aperto nelle sere estive sulle rive del Canal Grande, dalle libere uscite non nascerà niente, Addio Dionino, Addio Noemi, ci siamo voluti bene, ma deve andare così. Mi dimenticherai, ti sposerai, avrai figli e nipoti, e cinquant’anni dopo mi telefonerai, voce femminile di un giovane passato, nasuto e scanzonato. Un passato di libertà assoluta, euforizzante, anche se lavoravi in carcere.

Questo ricavai dalle poche parole di papà, e soprattutto dalla sua faccia sorridente, dalla sua voce che si ostinava a storpiare Noemi in Noe-ma, personale vezzeggiativo amorevole di un abruzzese con poca dimestichezza con l’italiano e i nomi insoliti. Ma non potevo mica fermarmi lì: scandagliando negli album di fotografie, passando al setaccio minuscoli ritratti ingialliti in bianco e nero fino ad allora snobbati, venne fuori che questa Noemi era stata immortalata e goffamente camuffata in una foto di gruppo misto, composto da agenti di custodia foresti e ragazze venete in camicetta bianca e gonne a campana fiorate. E certo, che era innamorata di papà: guarda come sorrideva! Rivelatore la mano di lui sulla spalla di lei, in atteggiamento allo stesso tempo protettivo e di possesso: Noe-ma. Noe-mia.

Beccàti!

E lei, dopo tanti anni, pur di ritrovare il suo Dionino aveva smosso mari e monti, attraversando lagune, pianure e Appennini sul filo del telefono, partendo dall’unico appiglio che aveva: il nome della parrocchia di papà, Madonna della Vittoria, a Chieti. Aveva cercato il numero telefonico, e parlato con un prete che l’aveva indirizzata non a Dionino, che “da tempo non vive più qui”, ma ai suoi parenti; e lei quei parenti li aveva chiamati, in qualche modo si era presentata, e loro le avevano dato il nostro numero di casa… Ma dai! Visto di cosa è stata capace, Noe-ma… ragazza sposa madre massaia veneta dall’animo irriducibilmente romantico, come il mio.

Ingelosita, orgogliosa, deliziata, ero felice per papà e per me, e anche per mamma: Noe-ma ormai non avrebbe potuto portarcelo via, il suo era solo un tuffo nel passato, un riallacciare bei ricordi, concedersi un bagno di gioventù sfiorita nel corpo, ma non nell’anima, cercando e ritrovando infine il suo Dionino, il mio papà, quell’Uomo gentile e allegro, in divisa, in canottiera, che infilava peperoni sul balcone, tagliava cocomeri lungo il Canal Grande, un bel giovane, un foresto simpatico, affascinante e spietato con le donne! Ah!

L’uomo che non deve chiedere, mai

Poi, un lampo. “Ma pà, poi le hai chiesto il numero di telefono?”

“A chi?” Tutt’a un tratto fa lo gnorri.

“Come, a chi: a Noemi!!”

“No.” Scuote la testa sorridendo, come a dirmi: sei giovane, figlia mia.

“Come, no! Pà, ma insomma! Questa ti cerca dopo tanti anni, fa chissà quanti giri e telefonate per ritrovarti e parlare con te… e tu, dopo, neanche le chiedi l’indirizzo, il telefono?!” Quasi piango, dalla delusione.

“E perché?”, faccia soave, da caduto-dalle-nuvole.

“Ma come, perché? Potevi andarla a trovare, o invitarla qua, o almeno… che ne so, mandarle gli auguri a Natale! Possibile che non ci hai pensato?”

“No.” Che papà saggio che ho. Saggio e vecchio, con i suoi peli brizzolati e le sue fette inciabattate. La gioventù, il passato sono passati, anche se a volte possono tornare d’improvviso, inaspettati, in un caldo pomeriggio estivo, mentre infili peperoni da far seccare sul balcone; ma per un giorno, un’ora, una telefonata soltanto.

Ride bene chi ride ultimo.

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Franca Di Muzio

copywriter, ufficio stampa, giornalista, scrittrice... di mare