Ballando con papà
Racconto di una tanda per interposta persona.
Inizia come una delle tante sere in milonga. Ti prepari, abito scarpe ventaglio soprabito, ti predisponi spiritualmente ed esci, incontro a un’amica con cui sederti attorno al tavolo prenotato dalla vostra scuola di tango. Perché ognuno deve avere un posto a sedere, anche se poi si augura di starci il meno possibile: in milonga, si va per ballare.
C’è anche chi ci va soltanto per guardare, chiacchierare, socializzare; oppure per ballare e poi, per i più svariati motivi, se ne resta seduto/a; chi dopo un po’ capisce che non è serata e va via, e chi resta fino alla fine, fino all’ultima tanda.
Tanda, per i non tangueri è un insieme di tanghi (3 o 4, a volte anche 5) da ballare con il partner di turno. Non è detto infatti che si debba ballare tutta la sera con la stessa persona, anzi: è consigliato farlo con quante più persone possibile, saper ballare con tutti e con tutte, perché il tango è sì, un ballo di coppia ma è soprattutto un ballo sociale, come non si stancano mai di ripetere i tuoi maestri; un ballo, per di più, basato sull’improvvisazione, in cui ogni volta è diversa, in cui ogni volta si va, abbracciati, incontro all’ignoto.
Anche a voler ballare il tango sempre con la stessa persona ci saranno delle sorprese, ed è questo il suo bello: non è detto che se hai ballato “bene”, se sei stato bene in un abbraccio musicale ed emotivo con qualcuno/a, la prossima volta sarà lo stesso. E vale anche il contrario: se una volta balli una tanda non particolarmente entusiasmante con qualcuno/a, magari chissà, la prossima volta andrà meglio.
Insomma: con il tango non si può mai, mai dire.
Nemmeno tu l’avresti detto, che quella sera ti sarebbe capitato di ballare… con tuo padre. Tuo padre che, in vita sua non ha mai ballato, tanto meno il tango; tuo padre che in tante cose era bravo, ma a ballare proprio no; tuo padre che l’abbraccio del tango non ha mai saputo cosa sia, tuo padre con cui gli abbracci veri che vi siete scambiati puoi contarli sulle dita di una mano. Una scarsità dovuta non alla mancanza d’amore, ma a un pudore d’altri tempi, per cui più il sentimento è forte più va celato, protetto. Tutti, te li ricordi, quei vostri pochi preziosi abbracci. Ma non ve li siete scambiati ballando.
Il tango, si diceva, è un ballo sociale; il tango è incontro, il tango è abbraccio innanzitutto, e poi… poi ci sono la musica che ti avvolge e che interpreti, la chimica, la sintonia, l’ascolto reciproco che possono scattare, o meno, tra due ballerini che per la prima volta condividono una tanda.
Il primo tango della tanda è di solito il più cauto: si prendono le misure, ci si viene incontro, non si fanno azzardi perché, appunto, non ci si conosce. Nei tanghi successivi, l’ascolto reciproco si affina, la sensibilità e/o disponibilità individuale e tanti altri fattori entrano in gioco e determineranno la “riuscita” della tanda: il piacere del ballo in coppia, quella magia che alla fine ti farà sorridere alla persona che hai davanti — un sorriso autentico e sincero, non di cortesia — e ringraziarla.
Lo so, lo so: non dico niente di nuovo. Di tango scrivono e hanno già scritto in tanti e più titolati di me, quintali di pagine, fiumi d’inchiostro di romanzieri, saggisti, teorici e storici; ne ho già scritto perfino io!, che adesso vorrei raccontare questa tanda così particolare, così dolce.
Ma mi accorgo che c’è qualcosa che mi spinge a prenderla alla lontana, parlando prima del tango in generale, poi della pista milonguera che inizia ad affollarsi tra una tanda e l’altra, nel momento degli inviti, quando uomini e donne incrociano gli sguardi e, in un gioco di mirada e cabeceo, o semplicemente con un cenno, un inchino, una sillaba, un gesto, si decide che sì: questa tanda, la si ballerà insieme.
Vorrei raccontare di questo signore anziano e un po’ curvo, che nella pausa tra una tanda e l’altra si alza dalla sua sedia ai margini della pista e si dirige dritto verso una delle due Streghe (così con la tua amica avete soprannominato due signore molto esigenti in fatto di cavalieri, famose per i loro secchi, spesso plateali rifiuti di inviti da parte di uomini che, per un motivo o per l’altro, non vanno loro a genio: non abbastanza bravo; non abbastanza bello; non abbastanza simpatico; non abbastanza.)
Questo signore anziano, con la sua camicia azzurra e i suoi capelli bianchi, si ferma di fronte a Strega Uno. La guarda, inclina il capo sorridendo e, senza proferire parola, la invita.
Strega Uno lo fulmina con uno sguardo e una parola (da dove sono, non capisco cosa gli abbia detto di preciso, ma è chiaro a tutta la milonga che è un NO), e si immerge nel suo smartphone.
Con la tua amica vi scambiate un’occhiata di commento, senza dire nulla — per il momento: ché adesso è tempo di inviti, per parlare ci sarà tempo dopo, dopo… e anche questo è il bello del tango, poterne parlare a milonga conclusa, quando si torna a casa, in macchina, al telefono: raccontarsi le emozioni e delusioni della serata, condividerle… anche lì, esce fuori la socialità del tango, con i suoi rituali, le sue dinamiche apparentemente fisse: l’uomo propone, la donna dispone; l’uomo invita, la donna accetta o rifiuta. Anche se in realtà, guardandole da vicino, le cose sono un po’ più complesse di come appaiono; lo sono sempre.
Tu che sei una donna, per esempio, sai quanto sia dura aspettare calma e tranquilla che un uomo ti inviti a ballare; e che, per quanto cercherai di favorirlo guardandoti attorno sorridente e disponibile, magari poi non ti si filerà nessuno, e te ne resterai seduta per tutta la tanda… francamente: è pesante. Molto. Tonnellate di autostima e autoironia e menefreghismo e pazienza, ci vogliono, per uscire indenni da prove del genere, per tornare ad avere fiducia, a dirti che l’invito mancato, prima o poi arriverà; ed anche per questi aspetti il tango, anzi: la milonga, è una grande scuola di vita. Puoi provarci, crederci, sperarci, ma non è detto che riuscirai sempre e comunque: la tua volontà il tuo desiderio le tue paure i tuoi casini si incontreranno o scontreranno con quelli di un’altra persona, in un alternarsi di gioie, delusioni, pause, interruzioni, ritrovamenti e ripartenze.
Lo stesso vale per gli uomini. Che, in milonga, hanno pure altri problemi: trovare il coraggio di invitare una donna, non è mica scontato. E poi: ma quanto, quanto è pesante per un uomo invitare e ricevere un rifiuto? E quanto è difficile, uscirne indenni?
Totalmente solidale col signore testé respinto, lo segui con lo sguardo, curiosa di vedere dove andrà a parare: chi inviterà adesso? quanto dignitosamente uscirà di scena? Ma lui sparisce lesto dietro una colonna, e allora ti guardi attorno per vedere se qualcuno è già in cerca di te, come canta Marco Ferradini in “Teorema”: mica vorrai passare la prossima tanda seduta? Coraggio Franca, alza gli occhi, mira e guarda chi c’è… toh, proprio lui, in tutto lo splendore dei suoi capelli bianchi-camicia azzurra. Ti sorride interrogativo, gli sorridi a tua volta, ti alzi e lo raggiungi in pista. Non ti importa nulla di essere la sua seconda scelta o forse anche terza, di essere stata invitata dopo che altre gli hanno detto di no: è la prima volta che lo vedi, non ci hai mai ballato prima e sei troppo curiosa di provare, e poi ha una luce gentile negli occhi che ti rassicura.
Strega Uno vi guarda con aria schifata, ma non te ne può fregare di meno. Che continui pure a fare la schizzinosa: lei resterà seduta per tutta la tanda in compagnia del suo smartphone, mentre tu sarai in pista, tra le braccia di capelli bianchi-camicia azzurra.
Adesso siete uno di fronte all’altra, e lui la prima cosa che ti dice è “Grazie!”. Non “Mi chiamo…”, non “Ciao”, ma: Grazie. “Di niente!”.
L’hai già detto, che il tuo cavaliere è l’uomo più anziano di tutta la milonga? Adesso che lo guardi più da vicino, te ne rendi conto. Ben oltre i settanta, più o meno l’età che aveva tuo padre prima di ammalarsi, pensi. Ma com’è che ti viene in mente tuo padre adesso Franca, qui in milonga… niente di più lontano da lui e dai suoi gusti. Certo, lui era un uomo riservato ma socievole, gli piaceva molto stare in compagnia, dove lo mettevi stava, come si dice: stava bene ovunque, con tutti e con tutte, ma in fondo era un tipo molto chiuso, si faceva i fatti suoi, e soprattutto non l’hai mai, mai visto ballare, né manifestare il desiderio di farlo; al contrario di tua madre, che invece se ne sarebbe stata sempre a volteggiare in pista, se avesse potuto.
Il TJ mette il primo tango, tu e camicia azzurra-capelli bianchi vi abbracciate con garbo e partite in ronda. Il tuo primo pensiero è: Papà, ma sei tu? No perché le mani di questo signore somigliano alle tue, mani tozze da ex contadino, le dita incurvate dall’età, che con presa delicata ti sostengono e ti guidano tra le altre coppie milonguere, in un abbraccio leggero ma deciso, come se tu fossi un cristallo che non vuole, non può assolutamente far cadere.
Dai Franca, va bene la nostalgia, va bene la mancanza, ma adesso esageri con le somiglianze: non lo vedi, che questo signore è più basso di quanto fosse tuo padre, e anche di te? Ha i capelli pettinati all’indietro, l’attaccatura netta a V sulla fronte alta… sì, proprio come quella di tuo padre.
Basta adesso Franca, concentrati sull’abbraccio e sulla musica, chiudi gli occhi: quante volte, ballando, spontaneamente ti lasci guidare, come se fossi cieca; ma stavolta no, stavolta è come se non volessi perderti nulla, come se volessi imprimerti nella memoria — visiva, uditiva, tattile, olfattiva — ogni secondo di questa tanda. L’odore… sì, anche l’odore di questo signore ti è familiare: un odore pulito e antico, di campagna remota, di caminetto spento, di dopobarba sottotono — grazie a Dio, non è uno di quei tangueri azzimati che si fanno il bagno nel profumo, lasciandotelo poi appiccicato addosso fino al rientro a casa. Ci giureresti che vive in campagna, e che vive solo; molto probabilmente è vedovo, al limite ha una badante, figli o nipoti con cui condividere parte delle sue giornate ma adesso è solo, siete soli, siete tu e lui uniti in un abbraccio, due esseri lontanissimi e vicinissimi, due persone che se non fosse per il tango non si sarebbero mai incontrate, ed è (ancora!) anche questo, il bello del tango: entrare in contatto con persone che altrimenti non avresti mai avuto occasione di incontrare, persone con cui magari hai poco o niente in comune ma in quei brevi, lunghi minuti di una tanda condividi tanto, condividi tutto, condividi l’anima e l’emozione, condividi — anche tuo malgrado, a tua insaputa — cose che neppure chi ti è vicino ogni santo giorno sospetta o sente o comprende di te; persone di cui spesso non conosci il nome o la professione, ma non è importante, non è affatto importante per ballare insieme: in milonga, tutte le sovrastrutture sociali e culturali cadono, c’è solo il tango, solo il ballo, solo l’incontro — o, se va male, lo scontro — nell’abbraccio.
Continua a tenerti con delicatezza, né troppo stretta né troppo distante; è attento a te, ti ascolta, e tu sei attenta a lui, lo ascolti; un passo dopo l’altro acquisite fluidità, andate e basta, Cavolo, questo qui sa ballare, pensi; forse anche lui pensa la stessa cosa di te, visto che ogni tanto si lancia in passi più complessi: niente acrobazie mirabolanti ma piccole sorprese, scarti imprevisti, scherzi a cui rispondi improvvisando a tua volta; stai bene, ti senti a casa.
Papà, se potessi vedermi adesso… ma certo che mi vedi, sei qui con me in questo momento, anche se non ti vedo ti sento, mi sei vicino e mi abbracci con la tua camicia azzurra un po’ spiegazzata e l’odore dei tuoi capelli bianchi, della tua pelle macchiata dal sole, mi abbracci con il calore corporeo di questo signore curvato dagli anni e dalle fatiche, questo signore che non glie ne frega niente di fare bella o brutta figura, non glie ne frega niente di essere figo; vuole solo ballare lui, nient’altro, stare vicino nella musica a un altro essere umano. Chissà quanti abbracci avrà dato o ricevuto nel corso della vita, se con sua moglie ha conosciuto questo tipo di comunicazione non verbale. Speri per lui di sì, ma in caso contrario non è mai troppo tardi; il tango è uno dei pochi ambiti in cui l’età, più che un limite, è un vantaggio: quasi sempre, i tangueri anziani hanno tanto da offrire e da insegnare, in termini di sensibilità, intensità, vissuto… “Non si può ballare il tango senza prima aver vissuto”, ed è per questo che l’età media in milonga è, di solito, piuttosto alta.
La musica si interrompe, la tanda è finita. Vi guardate sorridendo, e lui ti sfiora con l’indice il neo che hai al centro della fronte:
“È bello, ti sta bene… sai che anche mia figlia ne ha uno così grande? Ma lei ce l’ha sulla guancia”.
“Davvero? Grazie…”, rispondi, con gli occhi che ti pizzicano.
“Grazie a te!” esclama lui, riaccompagnandoti — come ogni tanguero che si rispetti — al tuo posto a sedere… dietro Strega Uno, che adesso evita di guardarvi.
Padre, e figlia; se lui ti ha parlato della sua, chissà, forse avrà avuto la tua stessa sensazione. Padre e figlia che questa sera si sono sorpresi e riscoperti a vicenda, ballando una tanda impossibile. Padre e figlia, uniti in un abbraccio musicale che supera e trascende ogni dimensione, visibile e invisibile.