Franco, d’estate
(Il mio omaggio a Franco Battiato)
Estate 1981, la mia prima estate da adolescente: giornate spensierate di mare gelati gonne a balze gilet di jeans sandali indiani rasoterra, sandali di cuoio intrecciato alla schiava, zoccoli Scholl’s, occhiali da sole Persol, canotte a rete, bermuda, tagli di capelli scalati e permanenti riccissime, di lucidalabbra, di ghiaccioli, di BigBabol masticate all’infinito per fingere disinvoltura. Sere di prime cotte per ragazzi sellati su Ciao e Califfoni, precoci fumatori in incognito di Merit e Marlboro, di passeggiate per il quartiere con il coprifuoco materno alle undici di sera sperando di farsi notare da uno di loro, farsi invitare a fare un giro, almeno fino allo stadio, addirittura fino a Montesilvano, stasera c’è un concerto, di chi?
Battiato!
Battiato, idolatrato dai ragazzi più grandi, che citano a memoria brani dalle sue canzoni, a noi incomprensibili. Battiato, in concerto, a una decina di chilometri da qui. Non ci penso due volte a raccogliere l’invito, e già corro verso il motorino più ammirato e ambito:
- Francaaaa! Dove vai?
Lo strillo di mia madre, assisa di vedetta sul balcone, mi colpisce alla nuca quando ormai ho già il culo sul sellino del Califfone di A. e le braccia strette intorno alla sua vita.
- Un giretto qua attorno signò, torniamo subito!, risponde lui, e parte sgommando senza aspettare risposta, tracciando una sua personale, ondeggiante traiettoria nel nugolo dei motorini degli altri amici.
Il Califfone fa un rumore cane, inutile provare a parlare con A. e a dirgli Riportarmi subito a casa, sennò mamma mi massacra: ormai siamo usciti dal quartiere, e tagliando per strade secondarie abbiamo raggiunto la riviera, lanciati come proiettili, destinazione “Le Naiadi”, il megacomplesso balneare-natatorio-teatrale dove Battiato sta, ormai da un’ora buona, concertando.
Il Califfone truccato di A. supera di sicuro i 50 km/h consentiti, ma noi siamo euforici e senza casco, i suoi boccoli scuri al vento, la mia frangetta fermata da una bandana attorcigliata in fronte, l’aria estiva ci taglia la faccia; rinsaldo i piedi nei sandali indiani scivolosi, stando alla larga dalla maledetta marmitta che giorni prima mi aveva già lasciato un bollente, rotondo ricordo sulla caviglia; fortuna che ho addosso i miei bermuda preferiti, quelli gialli, almeno sto comoda con le gambe… mica come la mia amica S., che stasera si è messa la minigonna di jeans e, seduta di lato, pare sul punto di scivolare dietro il Ciao (blu) guidato da F. Sua sorella maggiore invece ha la gonna a pantalone, e sfreccia comoda da sola a bordo di un altro Ciao (bianco).
Che belloooo, mi è toccato il Califfone! Il Califfone è più bello del Ciao.
E tra A. e F., chi è il più bello? A. ha gli occhi verdi e il naso rotto, F. ha gli occhi scuri e un naso bellissimo, tale e quale a quello di Matt Dillon.
Paragoni. Dilemmi. Rossori.
(Il mio primo bacio deve ancora venire)
“Le Naiadi” sono un’apparizione, un bagliore nella notte, una notte vellutata e calda, profumata di pini marittimi, di salsedine, una notte che ci inghiotte e ci risputa vicino ai cancelli chiusi e — ahinoi — sorvegliati:
- Dove volete andare voi? Il concerto tra poco finisce!
- Embè? Appunto, facci entrà.
- E i biglietti, li avete??
- Dài… se ci apri che ti costa?!
Saranno i boccoli scuri, sarà la Marlboro accesa, sarà il naso rotto, sarà l’altezza che lo fa sembrare più grande dei suoi diciassette anni, sarà che il concerto è quasi agli sgoccioli, fatto sta che A. riesce a convincere l’addetto ad aprirci. Sciamiamo tutti e cinque sul più alto dei gradini dell’anfiteatro, lassù, dove forse ci sono ancora dei posti liberi, e se non ci sono ce li inventiamo, lassù da dove, strizzati nella morsa indifferente di un pubblico più grande di noi, su un palcoscenico circonfuso di luci fucsia e blu elettrico, intravediamo un figurino vestito di bianco, delle dimensioni di un francobollo: Lui, Battiato!
Si vede piccolissimo ma la sua voce, quella si sente eccome: modulata, stentorea, aliena. Siamo alle ultime canzoni, le più popolari, quelle che fanno esplodere la folla; le parole non le sappiamo ma i ritornelli sì, e su quelli ci sfiatiamo insieme agli altri, cercando invano di andare a tempo:
CUCCURUCCUCCUUUUUUU PALOMAAAAAA!
AHIAHIAHIAHIAIIII CANTAVAAAA!
CUCCURUCCUCCUCCUCCUUUU PALOMAAAAAA!
AHIAHAIAHIAIII CANTAVAAAA!
L’IRA FUNESTA…??
Ormai a mia madre che mi aspetta sul balcone non penso più, sono solo un corpo che salta insieme agli altri, una voce da contralto nel coro parrocchiale che urla a singhiozzo parole nuove, adulte, ribelli, straniere:
CERCOUNCENTRODIGRAVITA’PERMANENTE! CHENONMIFACCIAMAICAMBIAREIDEA, SULLECOSESULLAGENTE!
OVERANDOVEREEEEEEE-EEEEE!?!?!
GESUITI E EUCLIDEI! VESTITI COME…???
…DELLA DINASTIA DEI MING!
Alle medie nessuno ci ha mai parlato di Gesuiti e Euclidei, né tantomeno della Dinastia dei Ming: per noi le liriche di Franco Battiato sono lingua straniera, di cui solo anni più tardi proveremo a comprendere il senso. Per ora, ci importa solo che:
siamo a un CONCERTO, il nostro primo concerto;
a un concerto di BATTIATO!, il cantante più famoso e osannato in Italia in questo momento;
è NOTTE, e noi a quest’ora invece di essere a casa come bravi bambini siamo fuori, come adulti, lontano dai nostri genitori, dai loro rimproveri, dai loro No:
- Non fare questo, Non fare quello, Non tornare tardi, Non fare lo/a scostumato/a, Non farti il bagno in mare subito dopo mangiato,
Lontani dalle loro paure, che non sono ancora le nostre:
- Dove vai? Stai attent’! Attent’ a come attraversi la strada, a come ti vesti, a chi frequenti, e poi quello chi è?, non lo conosco!
Oddiomio che voglia di andare via, salire su un motorino e andare via di casa, dove? Al mare, lì almeno abbiamo il permesso di andarci da soli — cioè, in gruppo, sotto l’ombrellone di una famiglia di uno di noi, però insomma almeno lì possiamo respirare!
VIAVIAVIADAQUESTESPONDEEEEE!
PORTAMILONTANOSULLEONDEEEEE!
Summer on a solitary beach ci porta in spiaggia, al largo, facendoci sentire il suono e il refrigerio delle onde e il calore tremolante del sole, quel sole d’agosto al quale adoriamo rosolarci, tutti unti di una miscela abbronzante fatta di acqua di mare e olio d’oliva; sui capelli invece ci mettiamo la birra!, la birra li fa bellissimi, li schiarisce… a settembre saranno diventati arancione, dovrò farmeli tagliare ancora più corti.
AUONDERFULSAMMA — ONASOLITARIBICH!
(Anche la mia laurea in Inglese è ancora molto al di là da venire)
L’euforia del concerto di Battiato rubato sfuma nell’angoscia del ritorno nel quartiere, dove troveremo le nostre madri in piazzetta, fuori di sé, armate di frementi ciabatte e di strilli. Fortuna che i nostri padri non ci sono: agenti di custodia, lavorano al carcere dove fanno spesso i turni di notte… e tanto noi abbiamo già le nostre carceriere, che per punirci dell’evasione notturna ci vieteranno di allontanarci da sotto casa per tutto il resto del mese. Oddio no!, e poi A. e F. quando li rivediamo?
- Eddai mammaaaaa! Che abbiamo fatto di male? Siamo solo andati a vedere Battiato!
- Solo, eh? A Montesilvano! In motorino! Di notte! Chissà che vi poteva succedere!
- Ma mica eravamo da sole, eravamo insieme a F. e A.!
- Belle pezze, quelli! Fumano! E sono più grandi di voi!
- Uffa, mààààà!
- Non ci provare, a rispondermi così!
- Ma perché, che sto a dire??
-Ubbidisci e zitta, sennò mo’ vedi! Anzi, vedi di rimetterti a studiare, che tra un mese ricomincia la scuola!
Estate 1998. Ho studiato e sudato e alla fine ci sono riuscita, a diventare una laureata disoccupata e esasperata: sono quasi cinque anni che sto a spasso, in bilico tra lavoretti precari, e in questa estate la mia insofferenza verso la mia città il mio quartiere la mia famiglia la mia vita arenata hanno raggiunto livelli altissimi, tanto da farmi annunciare a bruciapelo ai miei genitori seduti a tavola:
- Ho deciso, a ottobre me ne vado in Moravia.
- EH?
- In Moravia, si trova in Repubblica Ceca — replico con tono didattico a mamma che sbianca e cerca la mano di mio padre.
Ecco, gli ho rovinato il pranzo. Dovevo dirglielo dopo. Ma in fondo, non è mai il momento giusto per dire a dei genitori che la loro unica figlia sta per spiccare il volo.
6 ore di volo tra scali, attese e coincidenze, per 6 mesi foraggiati da una borsa europea come assistente linguistico. Con una laurea in Lingue cosa pensavano, che me ne stessi a casa per sempre? Dovrò pure fare esperienza di insegnamento, di vita all’estero, no?
- …Ma tu mica hai studiato il ceco.
-Embè? So l’inglese, userò quello per insegnare italiano.
So benissimo che le mie parole sono per i miei come quelle di Battiato per me adolescente. Negli anni, tra noi il gap linguistico e culturale si è approfondito: loro fermi alla quinta elementare, io arrivata fino alla laurea; gli sono grata per avermi cresciuta e fatta studiare, ma adesso, adesso ho bisogno di volare.
Nella valigiona che andrà nella pancia dell’aereo Czech Airlines, mamma mi nasconderà tra i vestiti un chilo di parmigiano e quattro chili di pasta (ecco da dove veniva, quel peso extra!). Io invece porterò nel bagaglio a mano altre cose essenziali, come l’ultimo album di Battiato, uscito da poco.
Gommalacca, uno dei più ostici e affascinanti.
Ostico come il ceco che non imparerò, affascinante come chi proverà a insegnarmelo, corteggiandomi; ma io ho introiettato la raccomandazione materna:
- Mi raccomando vai ma non ti innamorare, sennò poi non torni più.
- Mamma!
Per i miei questo soggiorno ceco è uno shock; pure per me!, penso, cantando a squarciagola i ritornelli della prima canzone dell’album alle pareti spoglie della mia nuova casa:
SHOCK IN MY TOWN!
VELVETNY SHOCK!
Mi sento rinascere, sono risvegliata, inebriata dall’impatto con un Paese, una lingua, una cultura diversi:
SVEGLIA KUNDALINI!
MESCALINA!
Sei mesi di ascolto nonstop dei brani di Gommalacca saranno la mia cura alla nostalgia di casa, alla paura di non farcela a gestire sessanta allievi adolescenti, ai -20 gradi dell’inverno ceco; e tanta è la gratitudine verso Battiato che con la sua musica mi fa sentire allo stesso tempo lontana e vicina alla madre patria, che una sera mi metto al computer per scrivergli un ringraziamento.
Mi risponderà a stretto giro un suo collaboratore, gentilissimo e curioso di sapere come si vive, da italiana in Moravia.
Come si vive? Nel passato: ti basti sapere che ci sono ancora i trenini con gli scompartimenti di legno, in questo paesino sono indietro di cinquant’anni. Ma è un passato bellissimo, e questa per me è un’esperienza folle, irripetibile, necessaria per il mio futuro, concludo. D’altronde, come canta Franco — adesso lo chiamo Franco, per nome:
AH, QUESTO PASSATO!
DOVE IL MIO RIFUGIO PRESSO DI TE
FU QUELLO CHE FU
HO DETTO CHE IL NOSTRO LEGAME
FU QUELLO CHE FU
IRRAGIONEVOLE!
NON CI POTEVO NIENTE
NON POTEVO IMMAGINARMI SENZA
LA FOLLIA! — FU QUELLA CHE FU, FU QUELLA CHE FU-UU
LA GIOIA E IL DOLORE DELL’ESISTERE!
TUTTO FU QUELLO CHE FU-UU
TI GRIDAVO: SONO DISPERSO, DISPERSO, DISPERSO!
Nel 1998 in Repubblica Ceca mi sentivo persa. Mi sentivo libera.
Adesso, alla vigilia dell’estate 2021, senza Battiato senza Franco mi sento persa, come tutti. Mi restano la sua musica, la sua poesia, le sue canzoni, che sto ascoltando in loop da stamattina e che hanno fatto da colonna sonora ai momenti più importanti, più felici e più tristi della mia vita — elencarli tutti sarebbe impossibile.
Tra tanti, ho scelto quelli in cui forse, più di altre volte lui mi ha aiutata a crescere.
(Da Franca a Franco, con gratitudine)