Il posto delle fragole
Una parabola ortofrutticola (e che Bergman mi perdoni)
Correva il luglio 2019,
quando ancora si potevano frequentare i mercati di Campagna Amica sgomitando e tastando a sazietà, e fosti coinvolta in un raptus di generosità di una delle titolari, solitamente poco propensa a sconti e smancerie. In quel tardo pomeriggio d’estate, l’arcigna contadina offrì in omaggio a te e ad altri clienti un vaso, con interrata piantina di fragole. Le famose FRAGOLE DI FRANCAVILLA!, quasi una DOP abruzzese, Fragole con la F maiuscola, deliziose, gustose, costose, preziose -ose -ose -ose, osè, olè!
Sulla piantina però le fragole erano già sparite da tempo: adesso non è più stagione, ti avvisò la contadina; ma le sue foglie erano ben verdi, e te la portasti a casa tutta felice, pregustando una raccolta tardiva in barba ai pessimismi campagnoli. Innaffia innaffia, prima o poi qualche frutto crescerà, ti illudevi. Invece niente, l’estate si concluse senza gustose novità.
Lasciasti comunque la piantina nel posto che avevi scelto per lei, il migliore — angolo più esposto al sole del tuo balcone, circondata e protetta da altre piante meno coccolate: se supererà l’inverno, in tarda primavera qualche fragoletta uscirà pur fuori!
Si bloccò il marzo 2020,
e arrivò il lockdown e il traffico cittadino si fermò, le industrie inquinanti pure: tutte le piantine del tuo balcone rinfoltirono e rinverdirono in un’aria tornata pulita, salubre come non era stata mai. La salvia s’ingigantì a dimensioni tropicali, assumendo sembianze da pianta carnivora, e per la prima volta in tanti anni di onesto servizio cacciò fuori qualche fiore violetto, immediatamente immortalato in scatti a raffica; la lavanda fiorì e profumò come non mai, il fu bonsai d’ulivo allargò ulteriormente le sue braccia cariche di getti e polloni… ma la piantina di fragole restò imperturbabile, inamovibile nel suo verdeggiare beffardo.
Foglie sì, frutti no. Nemmeno un fiorellino piccolo-piccolo, niente di niente. La cura delle fragole sembrava rispecchiare quella che intanto riservavi da mesi a tua madre, malata terminale: ossessiva, costante, inutile.
Dicono che alle piante bisogna parlare, che come gli umani parlarci fa bene, si sentono amati, compresi, anche se non ti rispondono, anche se pensi che non ti sentano più, proprio come facesti sul letto di morte di tua madre: e tu allora parlaci, Franca!
- Sei sopravvissuta al freddo invernale, quindi vuol dire che sei tosta, sei forte; sole e acqua non ti sono mai mancati; adesso hai pure l’aria buona… insomma fragola mia, cosa c’è che non va? Fioriscimi, su, e poi fruttami, ti prego!
Giorni, settimane così, a sussurrare alle foglie, a covare fiduciosa la speranza in una fioritura pur che sia. Ci vuole fede, bisogna crederci, bisogna sporcarsi le mani, esporsi, lavorarci alle cose a cui si tiene: e tu allora Franca lavoraci, curala, esci sul balcone a innaffiarla, parlarci, concimarla con fondi di caffè, toglierle le foglie secche, salutare gioiosa quelle nuove, fargli pure una carezza ogni tanto, delicata però.
Intanto sui social fiorivano foto di balconi fioriti, quei balconi dove qualche settimana prima in tanti avevate cantato l’inno nazionale per farvi coraggio; e a maggio ti arrivò in chat anche il primissimo, patriottico piano di un vaso di gigantesche fragole rosse e bianche su foglie verdi, coltivate in balcone da un’amica del gruppo di lettura, accompagnate da orgogliosa didascalia corredata di triplici esclamativi:
SONO BUONISSIME!!!
Le tue invece restavano verdissime, sterili.
SENTI MA COME HAI FATTO, CHE COSA GLI HAI FATTO PER FARLE VENIRE COSI’?, scrivesti alla pollice verde.
NIENTE DI SPECIALE! SONO COSI’ E BASTA.
La risposta della mamma delle fragole modello, identica a quella delle modelle bellissime a cui si chiedono i loro segreti per restare così in forma: ah figurati, niente di che!, è un dono di natura, un miracolo, non serve sforzarsi e lavorarci, o si è o non si è, e io sono così e basta.
Sèh, vabbèh.
La primavera sfumò in un’estate arroventata, le foglie delle forsefragole si accartocciarono appena sotto le ondate di calore; continuasti a innaffiarle per inerzia a orari assurdi, sempre più tentata di buttarle via, ma ti piangeva il cuore a buttare via un organismo vivente; e allora riprendesti a parlarci, indirizzando alla piantina un frustrato monologo:
- Brutta stronza di una fragola ingrata, ladra di acqua e di attenzioni, tu mi hai presa in giro, tu mi hai illusa, tu mi hai dato false speranze!… oddio no, scusami tanto, non è colpa tua, è colpa mia che ho sbagliato qualcosa, ma cosa?, anzi no, in realtà è chi ti ha data in regalo ad avermi rifilato un vaso fallato: in realtà tu non sei una fragola ma una pianta velenosa, sembrava amore e invece era un calesse, ed è destino che tu non debba mai fiorire e fruttificare sotto le mie mani, pazienza: ti terrò così, spoglia… tanto, al prossimo inverno di sicuro non sopravviverai!, sai quanta acqua quanto freddo e quanto vento prenderai, ahahahah.
Qualcuno dei vicini curiosi, affacciato sul balcone, ti ascoltò, e chiuse le finestre con insolita discrezione — questa qua adesso parla da sola, questa pandemia sta dando un po’ alla testa a tutti, d’altronde…! E poi poverina, ha perso da poco sua madre, è ancora in lutto, c’è da capirla.
Passò anche la contagiosa invernata 2020, e arrivò la vaccinata primavera 2021,
un po’ più trafficata e inquinata della precedente; la salvia ridimensionò le sue foglie, la lavanda i suoi fiori, l’olivo si storse appena un po’ di più in direzione del sole, quel sole che la cavolo di pianta di forsefragole continuava a prendersi ogni giorno, insieme ai tuoi getti d’acqua sempre più svogliati e incazzati:
Che ti bagno a fare? Ingrata.
Cominciasti a saltare le innaffiature e a lasciarle addosso le foglie secche: ormai non ci credevi più. Arrivasti perfino a sperare che le forsefragole morissero di stenti, così non fu.
Ogni volta che tornavi sul balcone le ritrovavi lì, imperterrite, piantate proprio, non un passo avanti non un passo indietro, le foglie sempre identiche, come imbalsamate nelle loro sfumature di verde. Parlasti allora di nuovo, non con loro ma con tua madre, che pollice verde non era mai stata:
- Mah. Io quasi quasi le butto.
- Come, le butti? Mica sono secche!
- Sì, ma guardale: mesi e mesi di cure, e nemmeno un fiore. Che razza di fragole sono?
- Tu ogni tanto dagli comunque un po’ d’acqua: se non sono ancora morte, un motivo ci sarà. Dagli tempo.
-Tempo? E’ una vita che le innaffio, qua non cambia niente. Dammi un segno, mamma!
Il pomeriggio del Venerdì Santo ti prese un raptus di pulizie prepasquali che si estese anche ai balconi, e dai balconi ai vasi. Avevi appena comprato una Lithodora davvero splendida, meritava un posto d’onore: sfrattasti le forsefragole dal loro trono nell’alto dei cieli per piazzarcela. Pianta da esterno, non teme le intemperie, cresce che è una bellezza, ti disse il venditore. Da vaso diventerà siepe, e a quel punto dovrò cambiare casa, scrivesti in chat urbi et orbi in un attacco di humour inglese, riuscendo perfino a far sorridere un parente in lutto stretto.
E il vaso di forsefragole, adesso dove lo metti, Franca?
Mah, ormai per loro un posto vale l’altro. Giù, in basso, per terra, vicino alla lavanda: d’ora in poi sarà questo, il posto delle fragole.
Sabato Santo, di buon mattino, tornasti al mercato di Campagna Amica e comprasti, insieme a una nuova piantina di basilico, 4 cestini 4 di fragole splendide, stavolta provenienti dalla Basilicata; prezzi orafi, ma il sapore ne valse la pena, a degno coronamento (insieme a un litrozzo di panna montata biologica da latte di vacche tedesche felici) di un cauto-lauto pranzo pasquale di famiglia rediviva.
Dopo una Pasqua a temperature tropicali, tornarono di botto un freddo e un vento siberiani: Ma che è ‘sto tempo matto?? Oddio povere piante mie, là fuori sul balcone!
Passato il fortunale, passi in rassegna i danni: il novello basilico è bruciato dal freddo, le storiche lavanda e salvia molto provate e rinsecchite; perfino l’impavida Lithodora mostra segni di cedimento, il pesante vaso di olivo si è capovolto e crepato sotto la spinta del vento, tutto il balcone è sporco di terra… sarà la volta buona che le forsefragole son crepate pure loro.
Ti avvicini al loro vasetto e vedi qualcosa di strano; qualcosa di nuovo, qualcosa di bianco.
Fiori.
Quattro — fiorellini — bianchi, in cui intravedi un cuore di un verde assurdo, aspro e tenero come la speranza.
- FIORI DI FRAGOLA… fiori fuori tempo massimo, quando ormai non ci credevo più…
- Ma che fuori tempo massimo, Franca: fiori giusto in tempo per trasformarsi in frutti. Finalmente è arrivato il loro tempo, è questa la stagione adatta: tra poche settimane raccoglierai e gusterai le TUE fragole, fragole franche, coltivate da te!, altro che quelle coltivate in francaville e basilicate varie!
I vicini curiosi rimasti in silenzioso ascolto rientrano in casa e accostano le persiane, scuotendo la testa: certo che questa pandemia sta durando davvero troppo; questa qua ormai sta fuori come un balcone, mi sa.