Solo un albero
parabola natalizia in sette tempi
- La volta in cui andate insieme a comprarlo alla Standa — un universo di luci colorate e abbaglianti, commesse e famiglie sciamanti nel rituale degli acquisti natalizi, condensati in un’apparizione solenne e benevola, piantata al centro di una teoria di suoi simili che sembrano tutti uguali ma lui, lui subito ti sembra unico, fatto apposta per te: i rami armoniosi, protesi come in un abbraccio; grande il giusto, alto il giusto e, dice tua madre, sarta appassionata di colori, “del giusto punto di verde” — verde albero, appunto!; manca giusto recuperare l’imballaggio, portarvelo a casa e addobbarlo come più vi piace, naturalmente dopo aver superato la cassa tintinnante e risposto al sorriso della signorina che vi dà lo scontrino, e aver sentito tutta la felicità dell’uscire da lì nella fredda sera di dicembre, imbacuccata in cappottino di loden, sciarpa rossa e passamontagna blu che tua madre nonostante le tue proteste ti rincalza in testa, e stringendo la sua mano guardare tuo padre camminarvi davanti portando sottobraccio la scatola più grande che tu abbia mai visto, tutta decorata di stelle dorate
- Le millemila volte in cui, a ognuno il suo compito: tuo padre il montaggio e il collaudo delle luci, tua madre l’addobbo in ninnoli vetrosi e il drappeggio dei festoni, tu a rompere le palline cercando di aiutare, di partecipare, saltellando tutt’intorno perché non stai più nella pelle e vuoi vederlo finito, acceso, perché Natale non arriva solo il 25 dicembre, Natale è già quando fai l’albero, il Natale si vede dall’albero, se viene bene sarà un buon Natale, un Natale da bambina con i parenti tutti insieme a mangiare il brodo col cardone e il tacchino ripieno e i carciofi indorati e i caggionetti e il panettone ripieno e poi a giocare a tombola coi fagioli e i borsellini che scoppiano di spiccioli per poter comprare le serie di cartelle e dare i numeri sul tabellone — 22: le gambe delle donne! No, i pazzi!; 90 la paura, 44 i gatti della canzone dello Zecchino, e poi le buste bianche con dentro le mille e le cinquemila e le diecimila lire che ti regalano quando li vai a trovare, insieme ai torroni — hmmmm i torroni!, ti piacciono tutti tranne il Nurzia: troppo molle e dolce per i tuoi gusti, lasci che se lo mangino gli adulti
- La prima volta in cui lo fai da sola, nel breve interregno delle ferie natalizie, mentre i tuoi se ne stanno di là, in cucina, in attesa di vedere il risultato delle tue fatiche; hanno aspettato che tornassi da Bologna per tirare fuori lo scatolone dallo stanzino, perché senza di te, che Natale è?; e proiettare nell’addobbo — rapido ma accurato, euforico — tutta l’ebbrezza della tua prima tredicesima, del primo cappotto rosso fuoco comprato coi tuoi soldi, della vita adulta che ti si schiude davanti; e sorridere al tuo riflesso nella tua pallina preferita, rosso fuoco, sopravvissuta a mille cadute e rotolamenti e per questo ancora più preziosa ai tuoi occhi; e vedere negli occhi dei tuoi una gioia bambina quando li chiami finalmente a vederlo, l’albero, addobbato e illuminato — ma come, l’hai già finito? — e i regali per loro che ci hai messo sotto, non aspetteranno certo Natale per scartarli
- La volta in cui ne compri uno nuovo, perché quello vecchio è vecchio davvero ormai, e perché adesso hai davvero bisogno di cambiare, di scrollarti di dosso il passato ancora troppo prossimo di un amore finito male, di dimenticare le illusioni di Natali futuri da trascorrere insieme, e così fai finta di aggiustare le luci attorno ai rami quando entra tua madre a vedere come va, con quello nuovo, e continui a tenere i tuoi occhi lucidi fissi sull’albero e una mano stretta attorno a un fazzoletto appallottolato finché lei non esce, e decidi all’improvviso che però le decorazioni no, non sono tutte da buttare, anzi!, e mescoli nuove e vecchie in un addobbo inedito mentre covi i tuoi buoni propositi — primo: non innamorarti mai più in vita tua — per l’anno nuovo; oddio Capodanno no!, non lo vuoi proprio festeggiare, vuoi solo soffrire, dire di no agli inviti degli amici e startene tappata in casa ad ascoltare il frastuono del vicinato e andare a letto presto, portandoti appresso il diario e una penna: se proprio devi ripartire ripartirai da lì, dalla scrittura
- La volta in cui non lo fai, anzi neanche lo tiri fuori dallo stanzino, perché l’8 dicembre tuo padre è già in agonia anche se non lo sai, e il giorno dopo se ne va a vedere un’altra Luce, perché come ti dice tua cugina parlando a voce bassa, solo chi è molto caro e molto vicino a Dio muore nello stesso giorno del suo compleanno; la volta in cui tiri fuori dallo stanzino lo scatolone e tutti gli addobbi ma non ce la fai a farlo, perché tua madre è morta qualche mese prima e non riesci neanche a concepire come possa esistere, un Natale senza di lei, e sospinta da un’amica compri allora un alberellino portatile già pronto, tutto bianco innevato con lucine piccole piccole a led, “perché tu hai bisogno di luce; perché comunque, a Natale, una luce in casa ci vuole”
- La volta in cui lo inizi, lo riprendi, lo interrompi, lo riprendi e poi lo lasci così, addobbato per metà, perché è stato un anno complicato indaffarato pesante sotto tanti troppi aspetti, e non hai né le forze né la voglia per finirlo, e poi sono talmente tante le cose non finite e non definite nella tua vita, che l’albero di Natale è solo l’ultima della serie, figuriamoci! Ma non è quella la cosa peggiore, passare dicembre e le feste con un albero monco, no: la cosa peggiore sarà rimetterlo a posto a gennaio, fare la fatica di disfarlo senza aver prima fatto quella di farlo del tutto, oh incompiute del cazzo
- La volta in cui l’8 dicembre, come da tradizione, ti rimetti a farlo con tutte le buone intenzioni tutto l’amore tutto l’impegno e l’entusiasmo che ancora senti di avere nonostante i tuoi antanni, perché Natale è Natale è Natale!, perché un bell’albero te lo meriti, ti meriti una luce che ti accolga quando rientri a casa, e di tornare bambina e crederci ancora, sì: e tutto scorre liscio e facile, come per magia l’albero sembra farsi da sé, e tutta felice lo accendi e lo rimiri e lo fotografi e lo filmi, e quant’è bello bellissimo!, quasi quasi mandi il video a quel tuo studente pazzo per il Natale, e quasi quasi lo spingi appena un pochino più indietro, perché per poterci girare attorno comodamente in fase di addobbo lo hai staccato troppo dalla parete, ecco, così…
… e lui, per la prima volta nelle vostre rispettive vite, ti crolla addosso.
La volta in cui,
dopo aver pianto a dirotto ed esserti sfogata con i vicini che, in effetti, avevano sentito uno scroscio, un rumore provenire dal tuo salotto…, e che scoppiano a ridere all’immagine fantozziana di te con la testa finita dentro l’albero finito addosso a te — e che vuoi che sia, in fondo è solo un albero, ci sono guai peggiori, l’importante è che sei viva!
e dopo aver ripulito il pavimento dai cocci,
e comprato delle belle palline nuove,
e sbrogliato tutti i festoni intrecciati e le luminarie incasinate
e rimesso in piedi l’albero, e raddrizzati i rami stortati
tu, oggi, per la prima volta, lo rifai daccapo,
perché chi cade si rialza, chi crolla pure, e tu no, non puoi crollare, non vuoi, non te lo meriti; ti meriti invece un bell’albero e un bel Natale — e tanti, tanti auguri!